Io sono.

Il padre di mio nonno coltivava la terra, dalla mattina alla sera. Lo faceva con suo padre e tutti i fratelli.
Abitava in campagna, ai suoi tempi tutto fuori Milano era campagna.
In casa non parlava italiano ma il dialetto delle mie parti. Quando non lavorava, faceva figli o andava in guerra.
Di figli ne ha fatti dieci, di guerre un paio. Ha partecipato ai famosi fatti d'Aspromonte, ai tempi dell'Unità d'Italia.
Forse era stato suo padre a fare quella guerra, non ho mai capito.
Mio nonno, invece, a diciotto anni ha fatto la prima guerra mondiale ed è stato ferito ad una gamba.
Di questo sono certo perchè me lo avrà raccontato cento volte.
È stato operaio metalmeccanico per 40 anni, costruiva turbine elettriche alla Franco Tosi di Legnano.
Era in fabbrica quando i nazisti l'hanno occupata dopo l'8 settembre.
Dopo il lavoro in fabbrica e tutti i sabati e le domeniche se ne andava in campagna, nella terra di famiglia,
a curare i gelsi per i bachi da seta e a fare gli innesti negli alberi da frutta.
Non ha mai amato gli animali che per lui erano bestie.
Mio padre ha studiato come disegnatore tessile alle scuole professionali.
Ha studiato anche inglese ma pensava in dialetto e poi traduceva in italiano. Ancora oggi fa così, ne sono certo.
Ha lavorato una vita come tecnico di tessitura, disegnava le trame e gli orditi di pigiami in flanella e mutande di cotone.
Ha anche intrapreso la via imprenditoriale, produceva una stoffa che si chiama rigaraso e altri tessuti come terzista, come molti dalle nostre parti.
Aveva l'orto nella nostra vecchia casa di famiglia, in provincia, e con mia madre ha vangato e dissodato terra per decenni occupandosi di fiori, verdura e frutta.
Da bambini io e i miei fratelli avevamo sempre insalata, zucchine, pomodori, pesche e albicocche fresche e la casa col parco pieno di piante e fiori.
Ho passato molte primavere arrampicato sull'albero delle ciliegie.
Con noi vivevano sette gatti e due cani.
Io vivo a Milano da dieci anni e da altrettanti mi occupo di comunicazione.
Spesso faccio fatica a spiegare esattamente di cosa mi occupo.
La mia qualifica sul biglietto da visita è scritta in inglese ma io lo parlo male.
Compro frutta e verdura al supermercato, vicino a casa ce ne sono tre.
Da alcuni anni va di moda comprare frutta e verdura bio e io mi sono adeguato, con gioia di mia moglie.
La mia casa non ha nemmeno un balcone ma vorrei tanto poter tenere sul davanzale della finestra una piantina di basilico, per fare il sugo fresco della pasta.
Ho due figli, Filippo e Margherita.
Il più piccolo non distingue un ravanello da una ciliegia, la grande, invece, preferisce lo yogurt senza pezzi di frutta perchè le danno fastidio in bocca.
Vorrebbe tanto un cane, un dalmata, come quello delle storie di Walt Disney.

Maggio 2005

Bit

 

Non dire amore. Siamo solo parole fatte di bit. Niente altro. Addio.

Così gli aveva scritto lei. Lui restò immobile sulla sedia. Due anni di amore a distanza si stavano spegnendo con freddezza, come freddo era stato il loro amore. Vivevano ai capi opposti del mondo e nulla avrebbe potuto mai congiungerli.

Con una mano toccò lo schermo mentre con l’altra prese un coltello e si recise di netto la mano, poco sopra il polso. Non emise neanche un urlo, solo un mugolio sordo. Con uno straccio avvolse il moncherino, stringendo per fermare l’emorragia. Poi raccolse la mano amputata e la impacchettò in una scatola.

L’addetto dell’ufficio postale, incurante del suo pallore, prese il pacchetto e lo spedì dove lui gli disse.

Arrivò dopo quattro giorni e lei scrisse, felice di quel dono inatteso. Poteva sentirsi accarezzata da lui come se fosse lì. Durò poco, quella mano non le bastava. Tornò triste, voleva essere guardata e glielo scrisse. Lui non ci pensò due volte, si cavò l’occhio sinistro con un cucchiaio. Lo mise sotto alcol in un barattolo e tornò all’ufficio postale.

Furono baci e sorrisi disegnati, il codice d’amore di quei sei giorni. Tanto durò l’emozione di lei per quell’occhio che la guardava dal barattolo. Era stato un dono gradito ma ora voleva che quei baci di pixel diventassero reali. Glielo scrisse, aggiungendoci una faccina triste. Lui sapeva cosa fare, doveva capire come, avendo una sola mano. Strinse le labbra in un morsetto e con la cesoia se le tagliò. Arrestò a fatica il sangue e corse come un pazzo all’ufficio postale. Non disse nulla, l’addetto ormai sapeva tutto.

Le labbra arrivarono in due giorni, lei le mise in freezer, le baciava ogni mattina e ogni sera.

Passarono altri due mesi, tra una lingua strappata con la pinza e il pene asportato col seghetto. Lui si trascinava all’ufficio postale, felice. Lo fu anche quando lei scrisse che l’amore nasce dal cuore e che voleva il suo, per sempre.

Lui scrisse col dito rimasto che la amava infinitamente. Prese un punteruolo e appoggiandolo alla parete se lo piantò nel cuore. Emise un solo lungo urlo, era l’amore che sgorgava per andare da lei, per sempre.  

Il sonno

 

Le labbra tra le dita,

larghe, sul viso posate.

Le pieghe della vita

nelle tue risate,

dentro lo sguardo

che lento si spegne

trafitto da un dardo.

Conosco i tuoi segni,

i gesti e i contorni,

difetti perfetti

e culla di sogni.

Piena è la notte

di quella tua luna

che tinge la pelle

con luce di stelle.

Il respiro del sonno

è un vento ormai lento

che soffia e si posa

senza un solo lamento.

La mano dischiusa

rimane a cornice

protegge la voce

finché tutto tace.